TRIMESTRALE PERIFERIE
ANNO XXVII N. 105
Gennaio/Marzo 2023
(p.24)
https://poetidelparco.it
Renzo Montagnoli su ‘Tre fili d’attesa’
La plaquette è un libriccino di poche pagine e in pochi esemplari tutti numerati, generalmente impreziosito da una stampa su carta di particolare qualità. In pratica è quello che si potrebbe definire un opuscolo, ma con finalità diverse, a seconda dei contenuti. Nel caso di Tre fili d’attesa, donatomi da Maria Pina Ciancio, è in effetti una presentazione di alcuni suoi riusciti versi che rientrano nella poetica dell’autrice, volumetto accompagnato anche da una stampa dell’artista Stefania Lubatti, un astratto policromatico.
C’è anche una presentazione di Anna Maria Curci con cui praticamente il lettore viene reso edotto del perché del titolo della plaquette. Si tratta di un breve componimento che è parte dell’opera, i cui primi due versi sono comprensibili, in quanto espressi in italiano, mentre gli altri sono nel dialetto del paese natale di Maria Pina Ciancio, San Severino Lucano.
Per esperienza posso dire che il dialetto sovente rappresenta meglio ciò che si intende dire, a patto ovviamente di conoscere il relativo vernacolo. Nel caso specifico “a bona sciorta / nu’ lavoro ca cuta / u cappatiempo ca vene sempre chiù lontano” è un detto popolare che comprende quelle che sono le speranze e i desideri della gente, come esplicitato nel piccolo glossario parte integrante dell’opera (la buona sorte / un lavoro redditizio / l’inverno che arrivi sempre più tardi.). Ma allora che senso ha parlare di attesa? Non dimentichiamo che la terra d’origine della poetessa è madre di emigranti, gente che parte e poi ogni tanto ritorna per poi di nuovo ripartire, mentre altre volte, soprattutto quando l’età è avanzata, il ritorno è definitivo. Così il tempo si divide fra andate e ritorni, una durata fra le une e gli altri che è di attesa. A chi come me non ha necessità di emigrare il tempo non si misura con i giorni che mancano a tornare, né con l’ansia che precede quelli della partenza; del resto la Lucania, come quasi tutte le regioni del Sud, è da sempre terra di emigrazione. E’ poco il lavoro locale, le retribuzioni sono quasi sempre inadeguate e per vivere si deve andare, si devono lasciare quelle radici che in epoche migliori dovrebbero avvinghiarsi al terreno. Resta sempre, anzi ancor più vivo, l’amore per la propria terra, sebbene ingrata.
Non ho letto molto di Maria Pina Ciancio, ma quel poco, dato dalla silloge Storie minime e da questa plaquette, testimonia, oltre che dell’amore viscerale per la propria terra, la sofferenza intima di essere schiavi della necessità di lasciarla per poter vivere. E allora anche quel poco che può dare la tua terra sembra tanto, assume un valore che agli occhi di altri potrebbe sembrare superfluo, ma che invece è predominante in chi disperatamente si aggrappa al ricordo di case, di viuzze, di gente di paese, del proprio mondo. E’ in tal caso che si ha occhi per guardare con tenerezza cose che sfuggono a chi è sempre lì e mai se ne va (Dopo la festa i vecchi sono angeli / e conservano ancora il rossore del ballo. / Stanno aggrappati agli orli delle case / e non dicono nulla / per un giorno si dimenticano il freddo / e la paura del sonno che non viene. ). Quanta tenerezza in pochi versi, quanto amore per queste testimonianze di un luogo e di un tempo, perché i vecchi sono ciò che è stato, sono i portatori del testimone delle proprie origini, rappresentano sul palcoscenico della vita la commedia del passato, sono gli emblemi di un tempo e consentono di ricordare da dove si viene, placano la nostalgia, colmano i cuori, danno la speranza di essere lì, fra loro, un giorno in futuro.
Là c’è una patria che aspetta, un paese che non fa rumore d’inverno, un tempo irreale di attesa che inizia con la neve e sempre tre fili di attesa (la fortuna, una miglior retribuzione e la speranza che tardi l’inverno).
Il tempo che corre fra una partenza e un ritorno al paese, quando non si deve emigrare, passa senza che ce ne accorgiamo, è per noi un tempo fermo, è quello in cui è solo il trascorrere delle stagioni che ci avverte che un anno se n’è andato.
Non vorrei però che Maria Pina Ciancio fosse per questo etichettata come “locus poeta”, perché l’amore per il proprio paese non è disgiunto dall’anelito per il riscatto di una gente da troppo tempo disperata, con un accento netto sulla coscienza civile che ci è stato dato di riscontrare in un altro poeta lucano, Rocco Scotellaro, morto troppo presto e anche lui cantore di una miseria che sembra tuttora senza speranza.
Una riflessione su Tre fili d’attesa di Maria Pina Ciancio di Renzo Montagnoli su Arte Insieme, 06/03/20232
https://www.arteinsieme.net/renzo/index.php?m=81&det=24484
Giornata Nazionale del Dialetto e delle Lingue Locali

L’incontro si è tenuto martedì 17 gennaio 2023 alle ore 17-20 presso la Sala Italia dell’UNAR in via Ulisse Aldrovandi 16 a Roma.
In tale occasione ho avuto modo di leggere, assieme ad altri poeti, alcune poesie in dialetto che entrenanno a far parte della mia nuova raccolta poetica.
La manifestazione è stata promossa dall’Associazione Periferie e da Lend Roma con l’adesione dell’Unar (Unione Associazioni Regionali di Roma e del Lazio), dell’Associazione dei Sardi di Roma “il Gremio”, dell’Associazione Pugliese di Roma e della Famiglia Romagnola.
La serata si è aperta con i saluti di Vincenzo Luciani (Associazione Periferie), di Cristina Polli, responsabile del gruppo Lend di Roma e del Presidente dell’UNAR Antonio Maria Masia. Ha introdotto e condotto la serata la poeta Anna Maria Curci (Gruppo Lend Roma, redazione rivista “Periferie”).
Le letture dei poeti sono state intervallate da canti della tradizione popolare italiana del Nuovo Coro Popolare diretto dal M° Paula Gallardo Serrao.
Una bella iniziativa, grazie ad Anna Maria Curci, Cristina Polli, Vincenzo Luciani.
Riferimento web: Abitare Roma.it
Rosaria Di Donato su ‘Tre fili d’attesa’
«Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti». (Cesare Pavese, La luna e i falò).
Forte è il legame che unisce l’Autrice a San Severino Lucano, anche se è nata in Svizzera, dove lei rinviene le sue origini esistenziali profonde. È il suo un canto senza tempo che narra il legame ancestrale con un luogo “sospeso”, nascosto alle cronache, ai media e lontano dai social: quasi una favola antica, un mito che ripropone la vita semplice, essenziale di un paese rurale del Sud. “Tre fili d’attesa”, detto popolare lucano, racchiude l’essenza e il significato di una dimensione antropologica contadina di un mondo ancorato al ciclico corso della natura e al senso tragico dell’esistere: rassegnato all’ineluttabile. “Siamo nidi sfilacciati sugli alberi d’inverno”(pag. 11). Eppure vibrano i versi nel dare vita alle storie di persone e di cose che custodiscono un vissuto sapienziale conteso tra la vita e la morte, tra il tempo della festa e quello ordinario. C’è un brivido che accende come un vento le vie del paese, i suoi muretti, le stanze delle case e percorre le vene del lettore che si ritrova in Gennaro e Vincenzino, in zio Pietro e la sua casa”pittata” di rosso, in Antoniuccio Vito e Mariuccia, Marietta e Giacomino, Antonella e il suo pallone “rincorso” dai cani…a sussurrare tra le pieghe del tempo:”…a bona sciorta / nu lavoro ca cunta / u capattiempo ca vene sempre chiù luntano” (pag. 8). La stampa di Stefania Lubatti impreziosisce il Quaderno poetico n. 1 di M. P. Ciancio stampato in 65 esemplari firmati e numerati. Resilienti, la poesia e l’arte pittorica si fondono in un abbraccio che rischiara il passato nell’attesa che le radici fioriscano.
Rosaria Di Donato
Nota di lettura su Lettere Migranti di A. M. Curci
Teresa Armenti su “Tre fili d’attesa”
Delicato, raffinato ed elegante. Originale, autentico e misterioso, con il sigillo rosso scarlatto in ceralacca.
Così si presenta il florilegio “Tre fili di attesa” di Maria Pina Ciancio, come uno scrigno tenuto nascosto nel cassetto per 15 anni, ora quasi timoroso di presentarsi al lettore, a cui si raccomanda di aver cura, nello sfogliarlo, delle carte pregiate ed ecologiche Favini.
La raccolta, che si apre con una citazione di Cesare Pavese sui luoghi natali, è una perla incastonata tra la dettagliata introduzione di Anna Maria Curci e l’efficacenota di Abele Longo, trasformata in visione pittorica dalla stampa di Stefania Lubatti.
Le pagine si lasciano teneramente accarezzare, si aprono a ventaglio e ti avvolgono in un’atmosfera vellutata, dove, in balìa del vento, si mescolano ricordi, stati d’animo, sensazioni. La poetessa ti prende per mano e ti trasporta lungo i vicoli stretti del suo paese, che di mattina odorano di fresco e di pulito, ti fa sentire l’odore del pane appena sfornato, ti presenta quadretti di vita quotidiana, con le ringhiere dei balconi rovinate ,popolata da volti che hanno un nome. Gennaro e Vincenzino, avvolti da volate di fumo, trascorrono il tempo in attesa; zio Pietro, immerso nel passato, sta seduto davanti alla casa dipinta di rosso con il legno del bastone sotto il mento.
Antoniuccio Vito, invece, ha preferito lasciare la vita con una corda appesa al collo e Giacomino appena nato è salito al cielo. C’è chi parte e non torna più, come Vituccio e chi resta aggrappato agli orli delle case, come i vecchi stanchi e chiusi nei loro ricordi. Padre e figlio si siedono a cena intorno a un tavolo, ma il primo mastica lentamente e il secondo ha fretta di andare. Non c’è l’incontro tra le generazioni, che si ignorano a vicenda senza affrontare i loro problemi. Il silenzio domina dovunque soprattutto d’inverno e di notte viene disturbato dal latrato di un cane. C’è un’umanità dolente e rassegnata, nido sfilacciato sull’albero d’inverno. La poetessa delinea, così, il profilo dei piccoli paesi lucani… (…).
Teresa Armenti
L’articolo continua qui: https://insubriacritica.blogspot.com/2022/12/tre-fili-di-attesa-di-maria-pina.html
William Stabile su “Tre fili d’attesa”
Le pagine del libricino “Tre fili d’attesa” di Maria Pina Ciancio, condensano le riflessioni maturate in anni di osservazione lenta, attenta a costruire un percorso intimo e personale, volutamente decantato nel tempo dalla poetessa.
Tutto è fermo, freddo, come di pietra, e non c’è nulla da vendere, nulla da comprare, non ci sono traffici né merci… Solo tre fili d’attesa (a bona sciorta/ nu’ lavoro ca cunta/ u capattiempo che vene sempre chiù luntano) e “dopo la guerra dell’inverno (…) anelli di fumo irregolare” e scorci di paese e personaggi reali – amati profondamente nell’animo – e intorno la dura terra lucana dove ha valore essere più che avere.
Spiccano tra i muri sbrecciati di paese, le tante immagini dei vecchi dalla schiena stanca appoggiata al muro delle case, le ringhiere scorticate, i gerani smarriti al grande cielo e i cani a tre zampe o impazziti-quasi animali mitici, e gli attori paesani un po’ strambi, come zio Pietro (con il legno del bastone sotto il mento) che per strapparla allo scherno pittò “la casa di rosso, di lato, di sopra, di sotto” e che si fanno amare per la loro diversità, innata semplicità e riottosità al giudizio comune.
‘Attesa’ sembra essere la parola chiave del libro, cardine intorno al quale ruota la vita del paese lucano, terra ancora primitiva, ferma a riti arcaici, che si forgia nel dipanarsi delle storie minime e tragiche della sua gente. L’attesa sembra essere ora l’unico atto rivoluzionario nel mondo frenetico di oggi. Dove appunto l’attesa, e la riflessione che richiede lo scorrere lento del tempo, sono bandite.
Con l’attesa anche il silenzio è elemento presente nel libro. L’assenza di rumore (“non fanno rumore i paesi d’inverno”) nei lunghi ovattati inverni lucani viene rotta solo dai “rutti” delle feste comandate. Forse a ricordarci la presenza insignificante, rozza e primitiva dell’essere furente che è l’uomo nella Natura. (…)
William Stabile
Continua su: http://farapoesia.blogspot.com/2022/11/tre-fili-dattesa-di-maria-pina-ciancio.html
Cerimonia di Premiazione al “Premio Polverini 2022”





Si è tenuta ad Anzio la giornata conclusiva del Premio Polverini 2022 con la consegna dei premi ai vincitori.
Un grazie alla giuria per aver dato riconoscimento con un Primo Premio al mio libro di poesie “Storie minime e una poesia per Rocco Scotellaro” (Fara Editore 2009).
In questi giorni ne ha parlato Renzo Montagnardi in una bella recensione apparsa su Arte Insieme (ne trascrivo uno stralcio):
(…) Sono versi quasi sussurrati, nonostante la passione che l’autore riesce a stento a contenere; non ci sono toni enfatici, c’è una malinconia di fondo che stringe piano piano la gola come un cappio e che impedisce alla voce di uscire, di gridare trasformando il dolore in rabbia per una sorte che è una condanna originaria.
Ritrovo in questi versi lo struggente amore per le sue genti di Rocco Scotellaro, il poeta sindacalista verrebbe da definirlo certamente non sbagliando, ma prima di tutto acuto osservatore di una realtà immutabile che sembra senza tempo. In questo migrare, che porta i corpi lontano, ma con le anime che cercano di non disancorarsi da quel piccolo mondo ingrato in cui si è cresciuti, si nota implacabile lo spaesamento (Lo spaesamento, ecco cos’è: / un tempo in cui le mani non sanno più / se stringersi a pugno / o fermarsi / distendersi a ramo sul cuscino). È così che si va con la lacerazione dentro, mentre c’è chi resta, straziato dalla rassegnazione, in un palcoscenico i cui attori recitano la commedia della vita con i loro tradizionali riti, legati ad antichi valori, in cui ritrovano, nel dolore di vivere, il coraggio per vivere.
È indubbio l’amore di Maria Pina Ciancio per la sua terra, i versi delle sue poesie sono palpitanti, sgorgano dritti dal cuore, si fanno immagine e atmosfera, rivelano la ricchezza di un sentimento inalienabile.
In questo quadro mi pare logica una poesia dedicata a Rocco Scotellaro, di cui ebbi a scrivere, recensendo Tutte le poesie 1940 – 1953, il suo tratto distintivo e cioè che “Mai fu più intensa una così breve vita”. Lo scopo è di renderne il ricordo imperituro e con la memoria del poeta i suoi palpitanti versi, il suo amore per questa terra, per gli uomini che la calpestano e che rimangono nonostante tutto, per quelli che la lasciano con il desiderio di ritornavi già quando partono. (…)
Renzo Montagnoli
L’articolo integrale si trova qui: ARTE INSIEME 15/11/2022
Lorenza Colicigno su “Tre fili d’attesa”
(…)
Le undici pagine di Tre fili d’attesa sono scrigni di immagini fisse nelle memorie di un’infanzia e di un’adolescenza non individuali, ma collettive, i protagonisti e le protagoniste di queste avventure minime sono attori di eventi cosmici, la coperta rossa che fa da scena alla morte di Giacomino e al seccarsi del livato non è forse la metafora della nostra società, che, arcaica e primitiva da un alto, ipertecnologica e ipercolta dall’altro, è pur inchiodata all’inevitabilità della fine, la fine, oggi tanto più precoce, della nostra madre Terra, di cui neppure sappiamo assumerci la responsabilità.
Le immagini dolenti, a volte, crude, altre volte, sempre appassionate, sempre coscienti del dolore, della rassegnazione, della solitudine dei vecchi con la schiena stanca / appoggiata al muro delle case, che si raccontano storie condivise/di veglie e sogni mai saziati, incontrano la consapevolezza che tempi diversi non potranno mai incrociarsi: Padre e figlio s’incontrano a cena / intorno al tavolino / uno mastica lento, l’altro va di fretta / per non inciampare in quel tempo dilatato / e fermo negli occhi di suo padre /che straripa sul cuscino / disegnando rivoli di storie / e ombre inquiete sul suo viso.
(…)
Lorenza Colicigno
L’articolo continua sul Quotidiano “Talenti lucani. Passaggi a sud” qui
Maria Allo su ‘Tre fili d’attesa’
I Tre fili di attesa, a cui allude il titolo della nuova raccolta di Maria Pina Ciancio, sono le attese e i legami non solamente tra le persone, ma i legami alla terra, a un paese, ai ricordi, alla storia. L’autrice lavora, nelle diverse forme del suo impegno, intorno a due nuclei: realismo e simbolismo. È infatti sempre presente la realtà connessa all’infanzia, alla solitudine, al mito dell’indistinto in fondo alla nostra coscienza, alla terra a cui si riconnettono i riti delle stagioniche permangono nella memoria come indelebile matrice esperienziale, ma la realtà è sempre vista in chiave simbolica, viene trascolorata in immagini metaforiche che connettono i dati del reale a trame più complesse. La ricerca di un’intimità con la natura spinge l’autrice ad addentrarsi nel paese natale, San Severino Lucano, luogo della purezza, che racchiude la verità e non impone delle scelte ma disegna le coordinate del tempo dell’attesa, come dice Anna Maria Curci nella nota introduttiva: “Abbiamo tre fili d’attesa / annodati al calendario del camino /: a bona sciorta / nu’ lavoro ca cunta // u capattiempo ca vene sempre chiù luntanu” (p.8). Ecco la buona sorte, un lavoro che vale, l’autunno che arriva sempre più tardi, nella cultura popolare e nel mondo arcaico e contadino emergono come depositari di un senso dell’esistenza ormai perduto nella condizione alienata della società. Scrivere, come dice Pavese, è spostarsi lungo un percorso continuo tra l’io e il mondo, resta sempre partire dalla realtà, dal dato storico-sociale, personale o collettivo, saranno poi il linguaggio, il ritmo, la qualità fantastica a operare la trasformazione grazie alla quale s’intrecciano altri nessi, analogie, similitudini, metafore. Alle parole scritte è affidato il compito dunque di ricompaginare la solitudine in una comunione: “Talvolta basta uscire per strada/ per riannodare gli orli/ sfilacciati di un pensiero” (p.6). A partire da questo,il cammino dell’autrice diviene sguardo all’invisibile di un Sud mitico “non fanno rumore i paesi d’inverno/ e il giorno e la notte passano zitti” ( p.8) o ”Le parole dette bene in paese/ sono peccati senza riparo/ un gatto randagio/ da scacciare a pedate per strada” (p.9) e cura delle cose e degli altri “ Qui i vecchi hanno la schiena stanca/ appoggiata al muro delle case/ e si raccontano storie condivise/ di veglie e sonni mai saziati”(p.9) con gli stessi occhi con cui ci si sofferma a considerare, pieni di stupore, il divino di boschi, alberi, rane e farfalle , paesi.
Continua su FaraPoesia qui: FARAPOESIA (edizionifarapoesia.blogspot.com)
“Storie minime” vince il I premio “Leandro Polverini 2022”
La silloge poetica “Storie minime e una poesia per Rocco Scotellaro” (Fara Editore, 2009) all’esame della giuria del Premio Polverini 2022, ha ottenuto l’assegnazione del 1° Premio nella sezione poesia minimalista. La cerimonia di consegna dei premi avverrà domenica 27 novembre 2022, ore 10 – presso la Sala Conferenze dell’Hotel Lido Garda – Piazza G. Caboto 8 – 00042 Anzio – Roma.
Grazie alla giuria del premio, al Presidente Luciano Catella, al dottor Gianfranco Cotronei.
Riferimento alla silloge su You Tube qui
Mariano Lizzadro su Tre fili d’attesa
Le tue parole sono argilla e terra / nei vicoli di un paese silenzioso / sono memoria e ricordo / radicate come alberi alla terra/ le tue parole sono lievito e farina per il pane / odore di mandorle sapore di noci / voci e perle affacciate alla finestra dell’anima. (1 ottobre 2022)
*
(…)
Tre fili d’attesa” è anche un diario intimo oltre che una breve raccolta di versi inediti. Se chiudo gli occhi mi sembra di vederli quei bambini che scorazzano per le vie ed i vicoli di paese, perché in fondo anche la mia fanciullezza è stata così. Quindi dal personale all’universale, la poesia di Maria Pina Ciancio disegna con tinte a tratti forti come la casa colorata di rosso, oppure coi tenui colori di pastello, i boschi e le foglie, un sentiero interiore, un cammino dell’anima umana. Scene di colore si alternano a scene di bianco e nero. Sono ricordi svaniti che l’autrice vuole fermare su carta forse come testimonianza di un mondo che non c’è più. Luoghi dell’anima, diventati ricordo, posti di anziani e bambini, tra passato e futuro, fermati e scolpiti nel tempo. I dolci profumi di lievito, gli odori che emanano le case di un mondo che è destinato a svanire nel dimenticatoio. (…)
Mariano Lizzadro
Recensione apparsa su Francavilla Informa.it
Benigne solitudini e storie condivise
Un articolo di Anna Maria Curci su “I poeti del Parco”

Il tempo dell’attesa varia la percezione della sua durata muovendo fili che non sono immediatamente riconoscibili, dal momento che l’estensione di questi fa capo a mutevoli combinazioni di fattori.
Tre fili d’attesa di Maria Pina Ciancio ha consapevolezza di questa dinamica complessità e la accompagna a una collocazione nello spazio che rende tale particolare epifania dell’attendere vibrante di segni visivi e sonori.
Gli intervalli tra partenze e ritorni possono dilatarsi e condensarsi improvvisamente, ma ciò che conferisce a Tre fili d’attesa una voce inconfondibile è il loro incontrarsi nella lingua-madreterra del Pollino, là dove «Timpa del Diavolo è meridiana senza tempo».
Abbiamo tre fili d’attesa
annodati al calendario del camino
: a bona sciorta
nu’ lavoro ca cunta
u capattiempo ca vene sempre chiù luntano
La buona sorte, un lavoro che vale, l’autunno che arriva sempre più tardi, dunque, espressi in tre versi nel dialetto del paese natale di Maria Pina Ciancio, San Severino Lucano, disegnano le coordinate del tempo dell’attesa tra destino, fatica e alternarsi delle stagioni.
Continua qui: https://poetidelparco.it/benigne-solitudini-e-storie-condivise-tre-fili-dattesa-di-maria-pina-ciancio/
L’articolo è apparso anche sulla Rivista Periferie n. 104 Anno XXVI 2022 a cura di vincenzo Luciani.
Marina Minet su ‘Tre fili d’attesa’
Come non essere di parte dinanzi a una strada che spianandosi con grazia conduce teneramente alla meta. Ogni volta che una lettura intrattiene, in fondo aspiriamo a questo, sebbene nel mentre ci lasciamo cullare osservando con dovizia il suo paesaggio, che sia limpido o nebbioso, è questo che cerchiamo. Una meta compiuta, illuminante, dove grati e sfamati riposare con la certezza di una risposta nuova. Oltre l’ultimo verso di ‘Tre fili d’attesa‘ di Maria Pina Ciancio, ho trovato esattamente questo. L’esposizione poetica volta a una terra mai sepolta, pulsante come coscienza in sé, circondata da volti reali, tangibilmente compresi e amati e da luci sorelle molto care al mio sguardo. Nessuna ovvietà, nessuna imboscata nella sua poesia che fa del quotidiano quadri incisi sulla pelle. Solo devoto e umano splendore.
da Pillole (di)versi (pillolediversi.blogspot.com)
Marina Minet, 20 settembre 2022
Condivido l’uscita di ‘Tre fili d’attesa’

E’ uscita in questi giorni la plaquette poetica Tre fili d’attesa con contributi interni di Anna Maria Curci, Abele Longo, Stefania Lubatti, che ringrazio caramente per l’amicizia e l’attenzione.
Maria Pina Ciancio, Tre fili d’attesa, Associazione Culturale LucaniArt (2022).
https://openlibrary.org/works/OL28774102W/Tre_fili_d%27attesa
A Senise, versi lucani nel percorso “Piedi Poeti Bus”

Il progetto di segnaletica PiediPoetiBus, promosso dal CEAS (Centro di Educazione Ambientale per la Sostenibilità) Il Cielo di Indra, è stato realizzato grazie al sostegno dell’Ente Parco Nazionale del Pollino, nel Comune di Senise. Il PiediPoetiBus ha la particolarità di unire al cammino, tragitto casa-scuola-casa, la poesia ed è per questo motivo che su ciascun cartello segnaletico sono stati riportati i versi di un poeta lucano scelto dagli studenti stessi.
Grazie per questa bella iniziativa e grazie all’amico Saverio De Marco che mi ha inviato questa foto.