Domani la cerimonia del “Premio Giovanni Bovio” a Napoli

Si terrà lunedì 15 aprile 2024 alle ore 17:00 la cerimonia di premiazione del Concorso Letterario “Giovanni Bovio” 6ª edizione presso la Sala dei Baroni del Maschio Angioino. Tra le poesie premiate ce n’è anche una mia, dedicata al poeta Rocco Scotellaro e tratta dal libro “Storie minime” (Fara, 2009).


Su Puglia Live, 15 marzo 2024

Segnalo Il sarto di Ulm (n.19) dove appaioni anche miei inediti


Ricevo e segnalo l’ultimo numero de Il Sarto di Ulm (n.19) dedicato a Claudia Manuela Turco e l’epica della fiaba (capovolta) rivista di poesia della Macabor Editore (diretta da Bonifacio Vincenzi). All’interno ci sono anche miei inediti.
Riferimento alla pagina dell’editore qui

Con gli anici di Milano alla rassegna poetica ‘Parole Urbane 2024’


Un’esperienza molto significativa e particolare la partecipazione a questa iniziativa di Parole Urbane 2024. Nella foto in alto da sinistra con gli amici Marta Comerico, Mara Ventura, Stefano Raimondi, Paola Loreto, Barnaba Fornasetti.

Su ‘Milano Cosa’, poesie inedite con una nota di di Luigi Cannillo

Maria Pina Ciancio è “figlia dell’emigrazione degli anni Settanta”. Una condizione che ha influenzato le tematiche della sua poesia, come del resto i flussi migratori nazionali e internazionali hanno continuato a caratterizzare – e in misura crescente – indagini, riflessioni e scritture di vario genere. Negli inediti dell’autrice questa tematica investe diversi aspetti del suo percorso esistenziale, anche in modo indiretto, restando a distanza da rappresentazioni neorealistiche e senza ricalcare aspetti direttamente associabili alla cosiddetta “poesia civile” in senso stretto. Piuttosto il tema riguarda la separazione, la distanza fra elementi diversi, che viene messa in evidenza proprio dagli strappi prodotti dall’allontanamento, dalle forme di esilio e straniamento prodotte dall’emigrazione. Come se tale separazione non solo mettesse in luce singoli elementi caratteristici dei luoghi dell’identità, ma li proiettasse in una nuova dimensione. Si crea una sorta di tensione creativa tra alcuni particolari dell’appartenenza originaria e, anche attraverso la loro memoria, un nuovo sguardo che li percepisce e li rappresenta.
Abbiamo così luoghi o paesaggi legati all’origine lucana dell’autrice: la strada e le terre, l’uscio, l’Appennino. Ma questi luoghi non sono vissuti su un versante nostalgico o banalmente didascalico/edificante (come succede in alcune prove di autori contemporanei). La nettezza e la semplicità di questi elementi richiamano piuttosto un fruttuoso smarrimento interiore, la “connotazione soggettiva” a cui si riferisce la stessa Ciancio nella sua Nota di poetica. Allora si apre un vortice emozionale nel quale il cuore “trema”, si schiude a una rivelazione, a una apparizione inaspettata. Così il respiro rimane intrappolato in certi vicoli d’inverno “ma basta una porta/ che s’apre/ a far ritornare i passeri”. Perché “L’anima può essere ovunque/ se dentro vi germoglia/ un albero, un fiore, un ciuffo d’erba/ o qualsiasi sottaciuta dedizione”. Si tratta di una forma di dedizione alla propria appartenenza originale, quindi alla formazione dell’identità, insieme alla voce dei luoghi, al loro riapparire concreto, perfino attraverso i nomi dei morti.
La percezione di questi elementi avviene come in una sospensione tra riconoscimento e rappresentazione degli eventi. E proprio all’interno di una dislocazione, di un viaggio che poi accelera e si concentra nei versi “fermo dentro un fiato”, il soggetto è presente e vicino, osserva, riconosce i luoghi, la fine del giorno e l’inquietudine del temporale e recepisce gli elementi in gioco: “[…]/ Io non sono lontana/ Io sono qui/ dietro un vetro bagnato/ che conto gli alberi, le case vuote/ le antenne arrugginite/ Tutto già saputo/ tutto che ritorna/ fermo/ dentro un fiato”. Nell’osservazione si alternano e fondono statica e dinamica, elementi del paesaggio immutabile e modernità, gli alberi e le antenne, che ben rappresentano quello che l’autrice definisce in conclusione della sua Nota: “le contraddizioni che caratterizzano un Sud presente e più che mai attuale, fatto ancora oggi di mutamenti e di radicamenti”.

Luigi Cannillo

Articolo su Milano Cosa a cura di Luigi Cannillo, Adam Vaccaro, Laura Cantelmo

Milano “Parole Urbane” 2024


CASA FORNASETTI MILANO
Rassegna della VIII edizione di Parole Urbane “PERSEVERANZE.
Per una città ancora critica”, a cura di Stefano Raimondi e Valeria Manzi con la partecipazione di Marta Comerio.

24 gennaio
Gabriel Del Sarto
Davide Romagnoli
Flavio De Marco

7 febbraio
Laura Liberale
Federico Carrera
Silvia Romani

28 febbraio
Luciano Neri
Gisella Genna
Giovanni Attili

13 marzo
Maria Pina Ciancio
Pasquale Polidori
Marco Philopat

Anna Maria Curci su “D’Argilla e neve”

In viaggio

Ritorno nella mia isola del sud
A ogni chilometro che si riduce
un’arrendevole quiete 
ferocemente si espande
Ciò che temo di me
è questa fragilità 
ogni volta rinnovata
lo spavento dei nidi scoperchiati
l’osso spolpato nella neve
la riduzione già saputa 
della vita
(p. 16)

È fatta di andate e ritorni, di esistenze in viaggio, di soste e corse nei luoghi di nascita, di origine, di residenza. A ogni tragitto, breve o lungo che sia, corrisponde una scoperta, una conferma, l’acquisizione e il rinnovo («già saputa») di una sempre più articolata nozione circa la fragilità di persone e cose, di esistenze e paesaggi, nel segno indicato dal titolo della raccolta (che è anche il titolo della prima delle quattro sezioni che la compongono) di Maria Pina Ciancio: D’argilla e neve. La preposizione «d’», qui apostrofata, si presta a significati molteplici, giacché essa può introdurre un complemento di materia (l’universo poetico si configura come fatto di argilla e neve), oppure un complemento di argomento (la materia trattata nel volume è argilla e neve, con tutto il carico simbolico che ciò comporta). Ma quella «d’» apostrofata potrebbe sostituire anche la preposizione “da”, non soltanto la preposizione “di”. Essa potrebbe riferirsi dunque alla provenienza (complemento di origine; complemento di moto da luogo) di questi versi. Si tratterebbe allora di una provenienza da quelli che l’autrice definisce nella breve nota iniziale «luoghi d’appartenenza».

Consiglio di tener presenti tutte le possibili accezioni della preposizione con la quale inizia il titolo. Certo è che creature, materia, ambienti, ecosistemi, scorie, sono esposti all’azione di più agenti e sono ridotti nella durata e nelle dimensioni, messi a nudo («nidi scoperchiati»), franati, scavati, consumati, abbandonati («l’osso spolpato nella neve»). 

Il viaggio, che è di ritorno nei versi sopra riportati, ha una meta che è definita «la mia isola del sud». È la terra d’argilla e neve, la Basilicata, punto di partenza dei genitori di Maria Pina Ciancio, nata a sua volta a Winterthur, in Svizzera. Nell’andirivieni, tra sentimento di spaesamento, sradicamento e ritorno, partenze e vicende di emigrazione, la Basilicata diventa un’isola, preceduta dall’aggettivo possessivo che manifesta tutta la ricchezza di un ventaglio di connotati e significati. Sì, perché l’isola – che dal punto di vista strettamente geografico isola non è – può essere, di volta in volta, rifugio, riparo, luogo separato, per tempi di respiro diversi, dalla terraferma intesa come dimora delle certezze; può essere, ancora, luogo dell’utopia, l’isola dei bambini sperduti, rivelazione della perdita progressiva e, per contro, «spazio che rimane/ tra il recinto e il fogliame», origine (di corpo, di luce, di parola, intimamente legati, come per mistero che è fondamento, come si legge a p. 54, Il riparo della neve) da un lato, «deriva e approdo di ogni mio dolore» (Dentro lo spazio che rimane, p. 55) dall’altro.

Silenzi e giochi, fratellanze e solitudini, risuonano in un dettato poetico che unisce prodigiosamente dolcezza e incisività, spiritualità e corporeità, profumo di ginestre e graffi per coglierle, gelo e fuoco. 

Tra le contrapposizioni che vivono nella raccolta e ne alimentano le vene espressive, una richiama la poesia di William Blake che, dalle soglie della modernità, si pone come pietra miliare, luce radiosa e bagliore dal precipizio, quiete e abisso, per dirla con le parole di Maria Pina Ciancio. Si tratta del binomio innocenza-esperienza. Se la prima è collegata, come ci aspetta, con le prime stagioni della vita, è pur interessante notare come essa si materializzi anche in ragione di un atto volitivo: «Ritorno alla luce dello sguardo/ per un’ostinazione di innocenza» (p. 54). L’esperienza, per contro, permea tutta la creazione poetica, sì che da essa, in tutte le sue forme, a partire dalla dimensione corporea, dal suo incontrarsi con immaginazione e (leopardiani) «sconfinati silenzi», nascono le «parole d’argilla da plasmare e custodire/ nell’incavo della mano». 

Luoghi d’appartenenza, argilla e neve, partenze e ritorni, silenzi e rievocazioni-invocazioni di sere, di inverni, di storie ascoltate nell’infanzia, ricorrono anche nelle Cinque poesie in dialetto lucano e creano una tessitura sonora che unisce efficacia e incanto. Chi legge e ascolta trova anche in questi cinque testi il rimpianto per “l’ignoranza” (essere ignari del male, stato che l’esperienza cancella: «addu j eru cicata/ e nisciunu muria», p. 63; si pensi al verso finale di p. 40: «Quante volte nella vita ho invocato l’ignoranza») e, insieme, «’nda nu maccaturu/ jango e duciu/ cumi i piettini du melu» (p. 61), in un fazzoletto bianco e dolce come i pettini del miele, l’aspettativa che «perduri la grazia/ resista ancora la bellezza» (p. 14),  che al tempo fugace e impoetico, impietoso e inaridito si opponga l’incendio, il fuoco, il gioco nella neve, la luce tra le crepe, della parola. 

Anna Maria Curci

Con il lapis* #38: Maria Pina Ciancio, D’argilla e neve. Prefazione di Andrea Di Consoli, Giuliano Ladolfi editore 2023 (su I poeti del Parco)

Presentazione del libro “D’argilla e neve” e mostra personale “Volti lucani”


Domenica 14 gennaio 2024, ore 17*, presso l’Associazione Culturale “Villaggio Cultura – Pentatonic” in Viale Oscar Sinigaglia, 18/20 – Roma Laurentino sarà presentata la mia ultima silloge D’argilla e neve, Giuliano Ladolfi Editore 2023 e la mostra fotografica “Volti lucani”.
Dialogherò della mia ultima silloge con la poeta Anna Maria Curci.

*Ingresso con tessera dell’Associazione 2023/2024. Per garantire il mantenimento dello spazio “Invito alla lettura” è gradita una consumazione.

Notizia su Abitarearoma.it

Annamaria Ferramosca su ‘D’argilla e neve’

Percorro le pagine di questa ultima raccolta della poetessa di origini lucane Maria Pina Ciancio e mi convinco di come sia possibile un canto limpido dedicato alla terra delle origini, che non sia edulcorato da eccessi nostalgici e/o soste paesaggistiche, ma solo incentrato sull’imprinting  sedimentato nell’interiorità di chi scrive. E argilla e neve sono la materia che l’autrice sceglie per esprimere il contrasto  tra la dimensione materna della propria terra, densa di simboli e memorie, ma dalla bellezza facile a disfarsi come l’argilla, e quello stato  di disorientamento che il vivere sradicati fatalmente comporta, come durante una tormenta.

Le perdiamo ogni giorno le certezze di noi  – afferma Ciancio- / oltre la terra dei padri e il paese, e questa evanescenza delle nostre certezze porta inevitabilmente alla consapevolezza dell’effimero che siamo, costretti ad assistere all’inaridirsi della vita e alla perdita della sua grazia. Una sorta di amarezza nel vedercii diventati qualcos’altro, qualcosa di diverso da quel che si poteva essere restando nella terra delle origini, sogno destinato a svanire.

Con una consumata sapienza lessicale e grande dominio del ritmo la poetessa costruisce testi di grande impatto emotivo, dove i titoli sono anche frasi assertive o folgoranti citazioni di autori amati, come nel testo di pag.19,  dove la lapidaria frase di Cioran: L’attributo dominante della saggezza è il disincanto, introduce la figura – folgorante come un mito – dell’uomo sul muretto che ingoiava stelle in mezzo ai boschi per suo figlio nato muto, a dirci che da qualche parte esisterà pure un umano prodigioso, per cui vale la pena sentirsi vivi e non consegnati alla rassegnazione .

Il paese originario, dove è trascorsa infanzia e giovinezza, diviene dunque terra dell’anima, centro del mondo, luogo-ossessione da cui si parte e cui si torna ogni volta, conservandone nella carne lo stigma.. E lo starne lontano è vissuto come un lutto emotivo, così devastante da deformare lo sguardo sul mondo, perché si sente di esistere come con una mutilazione, con un corpo sgraziato e muto, incapace di sguardo poetico e di canto, avendo perduta la vitale capacità visionaria.

Eppure l’argilla del luogo originario paradossalmente può riuscire a trasmutare la sua componente metaforica di fragilità in resistenza, poiché sono proprio le radici a nutrire e fortificare cuore e mente con una linfa misteriosa che protegge e sutura le ferite del vivere. É forse  questa la chiave di magìa dei contadini  per entrare nel mondo, di cui parla Carlo Levi, che Ciancio sapientemente ricorda.

La poetessa trova poi una modalità di resistenza decidendo di allontanare volontariamente il fardello delle memorie con l’unico mezzo possibile, quello dell’aprirsi concreto alla fratellanza, all’incontro largo.  Ed è questa la luce che la Poesia, nonostante ogni privazione esistenziale, è sempre capace di proiettare sul mondo, suggerimento che  la realtà tormentata dell’oggi non può non seguire.

Così la salvezza dalla neve che destabilizza non può che essere quella data dall’incontro, anche quello dell’amore di coppia, quando esso è capace di insegnare la casa e soprattutto far rinascere nella parola. Sono queste due altissime espressioni poetiche, che da sole rendono memorabile la raccolta.

Quanto mai adeguata poi la scelta di chiudere il libro con cinque poesie in dialetto lucano, che in forma di brevi luminose fiabe schiudono un tempo-spazio andato, denso di note umanissime, a sottolineare il senso primo di questa poesia.

                                                                                Annamaria Ferramosca

Articolo pubblicato su Atelier – Gli artigiani della parola, Trimestrale di letteratura, poesia, scrittura

Premio di poesia ‘Fino in Fondo 2023’


La poesia inedita Io non sapevo vince il Primo Premio Ex Equo alla Settima Edizione del ‘Premio Letterario Fino in fondo 2023‘.
Il Premio, istituito in memoria di Francesca Voi, intende promuovere la poesia come strumento per la narrazione di sé e la condivisione di pensieri, immagini e sentimenti, sia l’uso terapeutico per la gestione delle emozioni e delle esperienze dolorose (ad esempio la malattia). Il Premio sostiene le attività di prevenzione e di supporto alle donne che hanno vissuto o si confrontano con il tumore al seno della Komen Italia.
Questa la motivazione dei giurati:

La poesia di Maria Pina Ciancio dedicata al padre, ci rende partecipi di un dolore da figlia immenso. Tutto si sgretola e si fa piccolo di fronte al dolore, passato e persente si confondono, ogni oggetto ricorda la persona amata. Un padre che sta male diventa improvvisamente un bambino e poi un figlio bisognoso di cura. Gli ultimi versi della poesia lasciano uno spiraglio di speranza con l’immagine dei semi e dei frutti nei campi, pronti a rinascere.

La premiazione si è tenuta il 4 dicembre a Roma presso il Centro Komen Italia per i trattamenti integrati in oncologia – 10° piano Ala O – Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS – Università Cattolica del Sacro Cuore – Largo Agostino Gemelli, 8 – Roma.


https://fai.informazione.it/F961809D-6047-45D2-832C-5CD0CB11182A/Premiazione-del-Concorso-di-poesie-Fino-in-fondo-2023

Gabriella Gianfelici legge ‘D’argilla e neve’


E’ una raccolta silenziosa – sotto la neve si potrebbe scrivere – e anche una raccolta densa di significati e di tenerezze, di ricordi e di profumi. L’autrice, Maria Pina Ciancio, lucana fino in fondo e lo trasmette, ci conduce in un girotondo di situazioni ricostruendo il mondo dell’infanzia, porgendoci rivisitazioni e momenti spesso vissuti da tutti noi e forse sopiti.
Già nel suo incipit troviamo parole come: ”versi urgenti, necessari, che si ramificano dal corpo alla mente, ascolto interiore di un mondo vicino e lontano, parole d’argilla…”

“Terra madre, amara, cruda senza braccia
ovunque andassi ovunque ti cercassi
al ciglio della strada o sopra i tetti rossi
ovunque” (pag.12)

Questi versi sono estrapolati da una delle prime liriche del libro e testimoniano, anzi annunciano, l’intero percorso della raccolta che si conclude, infatti, con cinque poesie in dialetto lucano.
Un percorso strettamente autobiografico quello di Maria Pina Ciancio dove, però, può partire un processo di identificazione al femminile fatto di sguardi, sollecitazioni emotive, fuggevoli momenti del passato che tornano e spariscono, ritornano ed entrano ancora dentro di noi …”tra il fogliame e la neve / io vado, cammino, mi cerco / ritorno” (pag.31). Ogni passo tra il fogliame e la neve può essere collocato in qualsiasi luogo, sia paese che bosco e anche città…l’autrice che ha avuto frequenti spostamenti in ambienti diversi lo sa bene…neve e argilla possiamo trovarli ovunque, sono nella nostra persona, nella nostra anima: li abbiamo sempre con noi.

“Ho un cielo d’inverno da inseguire
risvegli e reverberi di resine
memorie di partenze e di ritorni
benigne solitudini (pag.50).

Ci chiediamo: quale il luogo da cui guardare il mondo? Quale il luogo da cui scriviamo, pensiamo, progettiamo e ci “curiamo”?  Mi ha fatto molto pensare questo libro perché è anche la mia storia di pellegrinaggi e scelte diverse, mi sono ritrovata a sentire in me stessa le risposte (certo non saranno quelle di Maria Pina) ma forse possono somigliare. Cerchiamo la nostra “centralità”, il nostro sguardo vero e forte sul mondo, facciamo nostre interamente le “scelte” e le “sconfitte”. Le strade che desideriamo percorrere nel mondo segnano le nostre vite, tracciando i nostri sentieri sviluppiamo curiosità, interessi e desideri. Incontriamo persone che ci camminano accanto, incrociamo idee e ideali.
La poesia riesce a cucire tutto ciò in poche righe, in pochi versi si condensa la “matassa” vera di ognun*
E poi spolveriamo le dolcezze: …Insegnami la casa / l’audacia del vento…/ cerco i tuoi gesti / i quaderni riscritti / affollati di noi / il volo del falco che ritorna nella valle…(pag.51)
Da qui l’eterna domanda: poetare è spesso come scrivere un diario? E’ come svelare di sé senza accennare a sé? Certamente può essere, lo svelamento dei sentimenti più reconditi, l’accettazione della nostra umanità flagellata, spesso bistrattata e vogliosa di riscatto. Il riscatto vero, palpabile: essere persona insieme alle altre persone, accettare e vivere fino in fondo la propria condizione.
“A volte non sappiamo come raccontarla / quella gioia mattutina/ che esplode tra le pietre/ e rotola tra i campi /….(pag.52)
Maria Pina Ciancio ci offre la possibilità di ascoltarci, di alzare lo sguardo oltre il quotidiano, e noi leggendo i suoi versi la ringraziamo.

Gabriella Gianfelici

(da Il paese delle donne, Rivista online, 7 novembre 2023)