Assolo per mia madre. Una corrispondenza d’amorosi sensi

(Una recensione di Teresa Armenti) assolo per mia madre, maria pina ciancio

Alla poesia di Maria Pina Ciancio bisogna avvicinarsi in punta di piedi, accarezzare delicatamente la copertina, accostare l’orecchio agli spazi vuoti delle pagine e porsi in ascolto. Allora, cullati da un melanconico sottofondo musicale, ci si trova immersi nel paesaggio lucano, tra il profumo dell’erba spettinata dal vento nell’aria concava di luce e i campi di grano. Dalla “terra di luce ed ombra, infeconda e fertile” la parola prende forma tra singulti, sospiri e briciole di vita.
Si staglia, netta, la figura della madre, con la sua gonna larga, lo sguardo increspato, i capelli raccolti in un velo di lacca e la fronte aperta al sole, mentre aiuta la figlia, mano nella mano, a guadare il fiume e a percorrere sentieri irti. E alla madre, salita al cielo il 4 gennaio 2012 all’età di 72 anni, è dedicata l’intera raccolta di versi misti a prosa, fatta di sguardi fugaci, di silenzi, di sorrisi, di soste e di riprese. Il ritmo cambia tono quando i ricordi dell’infanzia cedono il passo alla grammatica dolorosa della sofferenza. Subentra la paura, il disorientamento, la lotta contro il male, che sembra debellato, ma dopo anni si ripresenta, esplodendo in tutta la sua crudezza, senza via di scampo. Ai luminosi orizzonti si contrappone un buio fermo tra le bianche pareti di impotenza, mentre il tempo non passa mai. I versi diventano preghiera, invocazione, attesa. E si spera fino all’ultimo.
Il pianto dell’anima irrora le pagine e contagia anche il lettore, ma viene subito asciugato dallo spettacolo dei gerani fioriti in giardino senza preavviso. La “corrispondenza d’amorosi sensi” del Foscolo si avverte in modo tangibile. La presenza invisibile della madre accompagna la figlia di giorno, di notte e quando attraversa la valle del Sinni, che “brucia spalancata a mani aperte” dentro “una ferita di ghiaccio”.
Il florilegio della Ciancio, pubblicato nel mese di settembre 2014, in 199 esemplari di carta pregiata numerati a mano, dall’Arca Fenice di Salerno, con grafiche di Giuseppe Pedota, suscita profonde ed intense emozioni, sviluppando una forte empatia; è “evocativo e vocativo”, come ha sottolineato Lucio Zinna nella prefazione; da assolo si trasforma in dialogo, che cerca un amoroso contatto con l’assenza, come ha evidenziato Mario Fresa nella sua testimonianza critica.
È la nenia che la figlia sussurra con tenerezza alla madre, mentre varca la soglia.

Teresa Armenti

Fonte: La Siritide

Assolo per mia madre. Una raccolta intima, dialogante e sconfinata

(Una recensione di Vincenzo D’Alessio)

Accarezzare le pagine dell’ultima raccolta di poesie “ Assolo per mia madre ” della poetessa lucana Maria Pina Ciancio mette il lettore in comunione con la sonorità della grafia impressa sulla copertina e sulla quarta di copertina del volume: la calligrafia è l’emersione del carattere, degli anni trascorsi, la bellezza e il dolore dell’anima che attinge nell’infanzia. Il mio il nostro è l’entrare con discrezione tra le pagine di un diario familiare , di un dialogo silenzioso tra donne, natura, paesaggi fisici e mentali con la poetica e l’ispirazione dell’Autrice.
Nei versi il fonema ricorrente è “silenzi / silenzio” proprio della comunione tra il pensare e la mano che esegue. Lo spazio energetico che collega l’esecuzione è fatto di silenzio. Soltanto dopo, la voce / le voci, riprendono quei segni di un alfabeto che formano le parole e le rendono sonore.
L’alfabeto musicale si serve delle figure scritte sul pentagramma che misurano la quantità e la qualità del tempo della composizione che gli strumenti, per prima la voce umana, trasformano in suoni. Continua a leggere

Assolo per mia madre. L’amore incondizionato e l’irripetibilità degli affetti

(Una recensione di Marina Minet al mio ultimo libro)

Se dovessi spiegare a un fanciullo la bellezza e l’impegno dell’amore incondizionato, la raccolta “Assolo per mia madre” dell’autrice Maria Pina Ciancio (Edizioni L’Arca Felice, 2014), coinciderebbe pienamente con l’importante necessità di dovermi appellare alla poesia in ogni sua forma.
“In mezzo al grano l’alba nasceva/ sui passi silenziosi di mia madre” (pag. 9).
La sua è una poesia completa che nutre l’anima. Un canto profondo che si concede senza insicurezze e che non lascia spazio a ostentazioni. Conforto e arricchimento, ed esempio di rara sensibilità epocale.
“Tutta la valle stanotte/ è dentro una ferita di ghiaccio/ che brucia spalancata/ a mani aperte” (pag.25)
Una poesia che avvalora senza consuetudini la purezza del quotidiano, rendendolo esigenza universale e fondamento di quella memoria interiore, che ci rende tutti figli senza tempo.
“Avvicina una mano e lo sguardo e cercami ancora bambina/ solo un istante solo una volta/ per l’ultima volta” (pag.36); “Vorrei abbracciarti adesso, invece corro/fortefortissimo tra lenzuola d’aria/ e grumi di pensieri ancora acerbi” (pag. 40). Continua a leggere

Rughe del silenzio

La luce si è fatta bianca, quasi argentea e alcuni corvi neri si aggirano gracchiando sopra le nostre teste. Siamo tra Senise e Sant’Arcangelo in mezzo alla creta polverosa e arsa dei calanchi. Percorriamo una stradina che a destra della provinciale scende giù fino all’invaso di Monte Cotugno. Hanno una scorza dura e argentea i calanchi, come la pelle squamosa e rinsecchita di un serpente. Qui la vegetazione è al limite della sopravvivenza. Qualche fiore sparuto, un cespuglio di bacche rosse e cardi enormi ovunque. Sul bordo dell’asfalto si diramano radici scoperte e rami polverosi di piante rampicanti. Mentre scendiamo ci sono rifiuti sparpagliati lungo le cunette e a tratti terribili olezzi di materiale in decomposizione. Degrado e abbandono. E queste cose vanno dette. Proseguiamo tra rabbia e rassegnazione. Tra bruttezza e fascino poetico. In mezzo alle “sculture mammellari” dei calanchi, tra queste rughe del silenzio e della memoria antica.

Ott. 2014

Riflessioni sulle “Storie minime” di G. Pugliese

13 settembre 2008

Carissima Maria Pina,

con piacere ho letto il tuo libro e con maggiore gratitudine  ti scrivo per qualche riflessione schietta, sincera e sentita sulle tue Storie minime. Ti partecipo subito la mia approvazione per la poesia a Rocco Scoltellaro, il quale tanto si è battuto per la nostra “Terra” e grande è il mio apprezzamento per la sua opera essendo io un Agronomo e quindi ho il motivo e il mordente di seguire un po’ le vicissitudini che l’agricoltura è costretta a subire.

A parte questo mio breve commento su Scotellaro, ti vorrei subito partecipare il mio forte apprezzamento per le tue Storie “MASSIME” in quanto denunciano con responsabilità tutto quello che purtroppo nella nostra regione non va.

Penso che questo lo dobbiamo fare un po’ tutti per ritrovare l’ “alba”  che aspettiamo da tempo. Io ti ho conosciuto di persona. E la forte sensibilità che hai dimostrato nel tuo lavoro, l’ho ritrovata passo passo nel tuo libro, dove con schiettezza e in alcuni casi con versi duri e sensibili hai denunciato le cose così come stanno, senza se e senza ma.

Un altro insegnamento importante che secondo me hai dato a noi lettori è che non bisogna arrendersi, ma bisogna lottare e andare avanti, così come d’altronde ci ha insegnato la letteratura di Rocco Scoltellaro.

Leggendo il tuo libro, veramente ho fatto una riflessione sul tessuto economico e sociale della nostra regione. E quello che più mi viene spontaneo dirti è che in questa regione ci sentiamo un po’ tutti arrivati forse senza essere mai partiti.

In questa regione abbiamo bisogno ancora di crescere molto. Ma soprattutto dal punto di vista culturale. Perché nella battaglia di Rocco Scotellaro c’era anche un riscatto di ordine sociale ed economico, ma il tutto doveva avvenire in un contesto di cambiamento culturale.

Solo così ci potrà essere per la Basilicata un viaggio di ritorno e non di sola “andata”.

(…)

Con sincera amicizia e stima

Giuseppe Pugliese