“Storie minime” vince il Concorso Internazionale di Poesia della Migrazione “Attraverso l’Italia 2014“

storie minime

La giuria del Concorso Internazionale di Poesia della Migrazione denominato “Attraverso l’Italia” ha assegnato il Primo Premio per la sezione Opere edite alle “Storie minime e una poesia per Rocco Scotellaro”  (Rimini, Fara, 2009).

Il comunicato stampa con i risultati del concorso qui: comunicato stampa definitivo

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Mario Fresa sulle “Storie minime”

Ua recensione di Mario Fresa
su Narrabilando

Scrivere è indovinare l’attimo arcano in cui si sovrappongono l’inimmaginabilmente grande e l’infinitesimale. Perciò, nella scrittura è sempre vivo un gioco di affettuose corrispondenze, di interne e inevitabili contraddizioni (l’esserci e il morire; la concretezza e la lontananza; il ricordo e la contingenza; il desiderio e la realtà). La poesia di Maria Pina Ciancio descrive questo smarrirsi dentro il liquido movimento di chi è diviso tra la materia del presente e le riposte sembianze della memoria: l’emigrazione dalla terra avita è il segno e l’immagine di un percorso che tocca ognuno di noi (poiché ognuno di noi ama e rincorre; e ognuno di noi perde o trasfigura ciò che ama e rincorre; e ognuno, ancora, si allontana dalle origini e ricerca una continua riparazione, e brama una costante ricucitura). Maria Pina Ciancio ricorda al lettore, dunque, un ruolo essenziale per la lingua poetica: quello di farsi voce che riannoda i legami e che li fa rivivere e tremare, diventando un’esperienza autentica e bruciante; è il ruolo dell’amoroso raccogliere e tramandare, e del limpido, malinconioso guardarsi indietro per riordinare, conservare, ricuperare i tasselli dei luoghi cancellati e feriti dalla cattiva indifferenza di chi resta.

Storie minime è un libro di rimembranze e di partenze. La poesia è proprio questo: è distacco, separazione; è perdere e tramontare; ma è anche felice concordia, combinazione magica di ritrovati vincoli; è unione e rinnovato accordo di legami; ed è pure l’avverarsi di una costante coincidenza di persistenza e di mobilità: cioè di dense comparizioni e di pulviscolari sbriciolamenti.

Nessuno veramente parte o resta: si scivola nel tempo indefinito delle attese e dei preparativi, e la chimera di andare avanti ci fa invece, spesso, tornare indietro o ci fa spingere, con affannosa cura, troppo avanti.

Un viaggio inizia sempre (o meglio: inizia solo, e basta). L’allontanarsi è l’unica, indeclinabile eredità di chi vive. Colui che parte, allora, intende distruggere e poi daccapo ricostruire, finalmente riappropriandosi di ciò che ha dovuto lasciare (e  perfino di tutto ciò che non è mai stato).

Questo è un libro di tenere illusioni mai sopite. Il poeta si presenta sotto la veste di un figlio: la sua forza è nel desiderare di procedere, con un ansioso amore, nella direzione di un riscatto e di un ricongiungimento con la materna e sacra immagine del primo luogo, antico e presente, in cui si è verificato il dono dell’apprendere, dell’imparare (ad esempio le parole dell’infanzia, sempre indelebili e oscure; e i passi incerti delle scoperte; e le intense rivelazioni delle remote, indistruttibili amicizie).

Ecco il destino vero della poesia: emigrare e ritornare; cancellare e raccogliere; dimenticare e amare. Maria Pina Ciancio conosce molto bene questo sforzo curioso di vivere l’inquietudine di una precaria dimensione, fitta di troncamenti e di ricomparse, di commiati e di riprese: «facciamo percorsi lunghi / per ritornare sempre all’inizio», e il segreto di questo interrogarsi poi ci rende, contemporaneamente, immobili e infanti.

Noi siamo desti e dormienti – ogni cammino è eracliteo; e irredimibile. Ogni paese sognato e ritrovato «giace in frantumi»  (così come dice Scotellaro) ed è altro e irrecuperabile, se non con la felice presenza del poeta che racconta, ricuce, tramanda e risana. (Mario Fresa)

http://narrabilando.blogspot.com/2010/08/storie-minime-e-infinite.html

Monia Gaita sulle “Storie minime”

dal blog Farapoesia
una recensione di Monia Gaita

“Ridecifrarsi senza abdicare alle proprie radici”

Storie minime di Maria Pina Ciancio ha il rigore d’ordine e di norme interne della poesia scotellariana cui si ricollega  non solo per la comune postazione geografica d’appartenenza (ambedue gli autori sono lucani), ma anche per certi indicatori contenutistico-semantici che permettono alle parole di uscire dai triti rigagnoli della prevedibilità o dalla troposfera di un nostalgico revival passatista. Le liriche offrono un fotoreportage accortamente rifinito e partecipato di piazze, vicoli, strade e stagioni su cui, a ricanalizzare le vie del perduto e di sofferte emigrazioni “Evaporano i sogni e dentro i sogni/ v. pag.18 /la storia di mio padre/ quella di valigie di cartone cotte al sole/ trascinate a mani strette/ dentro vagoni  neri di carrubi…/e un cartello straniero che fa ombra/ al taglio della sera in mezzo alle ginestre”  “Le partenze e i non ritorni –pag.16- sono cicatrici lunghe e oscure da curare” ci pensa l’eufòrbia ricorrente dell’amore compiuto ma periclitante per luoghi offesi da mutamenti tossìnici quanto speditivi. L’amore per il Sud ambisce a riconciliarsi con tutta un’intrigante assonometrìa di riti, usanze, tradizioni che la modernità ha travolto, sostituendo all’affetto autentico e genuino tra le persone, una disontogènesi relazionale di vuoto e incomprensioni. La riconoscibilità non è piena se il vomere delle partenze (anche degli elementi naturali) sèguita a lacerare l’identità di un popolo o se a marcare i lidi dell’oggi è sempre più l’incanto intatto e levigato del trascorso “ …Ce li portano via gli alberi, –pag.31- ad uno ad uno/ come gli uomini/ ma siamo troppo stanchi per accorgercene” “…Si sono spaccate le tegole rosse. E sono finiti i tempi in cui mio nonno ne faceva ripari per le chiuse e mattoni cotti al fuoco per l’inverno –pag.30-” Nella odierna civiltà trasmutatrice Maria Pina Ciancio fruga e trafuga dai diaframmi separati dei paesi l’albumina di bellezza superstite, semicoperta spesso da sovrimposte sembianze architettoniche in stridente rottura con l’anima antica dei “muri”, delle “tegole rosse”, dei “fiori benedetti”, dei “granai”, delle “ombre dei panni stesi per strada che profumano di vita insieme al pane”. La poetessa quindi, sovviene alle trighe dello smarrimento e dell’alienazione conseguente con una forte volontà a ritenere il salvabile raccogliendo i frutti di un lungo, pròdigo, ispirato lavoro di dedizione. L’istmo che congiunge il mondo di ieri e quello attuale s’adorna anche dei grandi poeti che ci hanno preceduto e Rocco Scotellaro a cui è dedicata la compositǐo fanalino di coda della raccolta, dovrebbe costituire la partitura etica, morale e di rinascita civile di un’intera comunità. Dopo aver letto questo libro capirete che non sono affatto mìnime le storie raccontate e che accanto al bacino glaciale dei “non ritorni”, il tentativo di ridecifrarsi senza abdicare alle proprie radici, va oltre il fósco degli espropri rivendicando il diritto a un’esistenza consapevole nell’estuario storico di ciò che fummo e ciò che siamo diventati.

Monia Gaita

D. Cipriano sulle “Storie minime”

Su La Nuova del Sud di ieri,  sabato 25 luglio 2009 (p.22),  è apparso un articolo-recensione di D. Cipriano alla silloge  “Storie minime e una poesia per Rocco Scotellaro” dal titolo «I dialoghi dell’appartenenza lucana».

la nuova del sud, 25 luglio 2009

(clicca sull’immagine per ingrandire)

STORIE MINIME e una poesia per Rocco Scotellaro

Carissimi amici,  vi segnalo l’uscita -in questo sesto mese del calendario gregoriano dedicato alla dea Giunone, una delle più importanti divinità femminili della mitologia romana- del mio nuovo libro di poesie, edito per i tipi della Fara Editore dal titolo “STORIE MINIME e una poesia per Rocco Scotellaro”.

La copertina del libro in pdf: coverstorieminime con bandelle

Un riferimento alla scheda del libro sul sito dell’editore: http://www.faraeditore.it/html/siacosache/ciancio.html