La luce si è fatta bianca, quasi argentea e alcuni corvi neri si aggirano gracchiando sopra le nostre teste. Siamo tra Senise e Sant’Arcangelo in mezzo alla creta polverosa e arsa dei calanchi. Percorriamo una stradina che a destra della provinciale scende giù fino all’invaso di Monte Cotugno. Hanno una scorza dura e argentea i calanchi, come la pelle squamosa e rinsecchita di un serpente. Qui la vegetazione è al limite della sopravvivenza. Qualche fiore sparuto, un cespuglio di bacche rosse e cardi enormi ovunque. Sul bordo dell’asfalto si diramano radici scoperte e rami polverosi di piante rampicanti. Mentre scendiamo ci sono rifiuti sparpagliati lungo le cunette e a tratti terribili olezzi di materiale in decomposizione. Degrado e abbandono. E queste cose vanno dette. Proseguiamo tra rabbia e rassegnazione. Tra bruttezza e fascino poetico. In mezzo alle “sculture mammellari” dei calanchi, tra queste rughe del silenzio e della memoria antica.
Ott. 2014